Avvenire – Martedì 23 Novembre 1976 di Pierangela Rossi

Giannetto Bravi cominciò nel ‘58-’59 ad adoperare pennelli e colori, “per emulazione verso un compagno”, pur avendo studiato geologia. Dopo alcuni anni si è indirizzato alle ricerche visive, su un piano scientifico.
Nel maneggiare le cartoline lo prese la curiosità di vedere cosa succedeva di-stendendole su delle superfici. “Dal Vesuvio, un simbolo affettivo per me, sono passato ad altri soggetti”. Affrontandoli “ho sentito la necessità – dice – di inserire elementi supplettivi”, fittizi ma tridimensionali. L’automobilina, i cavalli, le violette, la rosa, le sbarre fungono da contraltare e richiamano il concetto già più volte presentato. Malgrado scelga immagini “rigorose”, queste conservano sempre “qualcosa di popolare, semplice, immediato”.
Il clima è più gozzoniano che dannunziano, come pure si è detto. E Warhol è un richiamo pertinente solo in parte: in Giannetto Bravi pesano la costruzione finale, la cadenza e il gusto compositivo, soprattutto un diverso atteggiamento concettuale. Elemento in comune rimane certo la serialità, fatto importante in tutto il percorso di Bravi. La mostra alla Galleria Milano, è aperta fino al 30 novembre.