1980 - Milano, Studio Marconi - Ritratto-Autoritratto di sette critici: G. Ballo, A. Bonito Oliva, A. Del Guercio, G. Dorfles, F. Menna, P. Restany, L. Vergine (Presentazione di Filiberto Menna “La Coperta di Linus”)

Riconosciamo la seduzione del ritratto, il fascino indiscreto che l’immagine esercita su di noi quando ci rimanda, dall’altra parte, i tratti del nostro volto. E ammettiamo la propensione a rilasciare al ritratto un lasciapassare che d’abitudine non siamo molto inclini a concedere ad altre immagini: di porsi cioè senza rimorsi concettuali sotto il segno del Somigliante. Ci poniamo quindi una domanda indiscreta, se non ci siano altre ragioni di questo fa-scino indiscreto che l’immagine somigliante esercita sugli spettatori, anche i più scaltriti. E’, in qualche misura, l’indiscrezione alla quale il soggetto si sente esposto quando è preso di mira dall’obiettivo fotografico, per cui è portato a reagire in modi diversi, di difesa attiva o passiva. Già il mettersi in posa di fronte all’occhio meccanico è un atteggiamento di difesa, un espediente per presentare all’altro un’immagine più costruita, quindi più rassicurante, di sé. Così come è una difesa la smorfia grottesca con la quale ci poniamo in rela-zione con la superficie riflettente dello specchio. Forse in questo è la ragione del fascino che esercita il ritratto, la curiosità continuamente inappagata che esso suscita. Di qui anche l’aspetto inquietante che ogni ritratto sembra avere, inquietante come lo specchio.
L’allarme scatta a questo punto, quando ci riconosciamo nel ritratto, e nello specchio, ma nello stesso tempo avvertiamo che nell’immagine riflessa appare qualcosa che non conosciamo perfettamente. Da questo punto di vista, il ritratto può essere considerato unheimlich, perturbante, nel senso indicato da Freud, ossia come un qualcosa che è appunto l’antitesi di ciò che è heimlich, familiare, abituale, ma che trae la sua origine proprio dal fatto che è un qualcosa che ci è da lungo tempo familiare. Il Somigliante è in sostanza una maschera ed in quanto tale rinvia a qualcosa che sta al di là dell’apparenza, ad un segreto che la maschera in parte rivela ed in parte nasconde. La somiglianza acquista così il significato di simbolo, nel senso originario di symbolon, la tessera metà della quale era consegnata all’ospite, che poteva quindi essere in parte riconosciuto ed in parte nascondersi. Ma che cosa si nasconde dietro la maschera e dietro il ritratto?
E’ probabile che il somigliante, il doppio, il riflesso speculare, ed il ritratto, abbiano un risvolto profondo, ci portino a uno “stadio dello specchio” in cui tutti abbiamo vissuto la separazione dalla madre e appreso la differenza dopo la somiglianza e l’identità. L’attrazione singolare che il ritratto esercita sul soggetto che lo guarda è forse in relazione proprio al fatto che esso ci presenta un’immagine che ad un tempo appaga e delude il desiderio; un desiderio che sospinge continuamente a cercare nuovi segni di una cosa lungo la catena delle sostituzioni metonimiche della (perduta) relazione primaria.
Giannetto Bravi sembra porre allo scoperto questo meccanismo. Ma prende una scorciatoia, lasciando al soggetto ritratto il compito di inserire nell’opera il proprio oggetto segreto e di collaborare, così, alla realizzazione dell’opera appunto come maschera e simbolo che in parte rivela ed in parte nasconde. Pierre Restany, Lea Vergine, Gillo Dorfles, Guido Ballo, Achille Bonito Oliva, Antonio De Guercio, e chi scrive, hanno tutti svelato all’autore un loro amore segreto, un dettaglio che ora sta dentro il ritratto con il compito ambizioso di svelarne l’altra faccia. Immagini, parole, cose alle quali ciascuno assegna un particolare valore, oggetti transizionali come la coperta di Linus. Ma il luogo del segreto è veramente raggiunto? O non si tratta, ancora, ed inevitabilmente, di una maschera e di un travestimento?
E infine non possiamo non chiederci quale sia il segreto di Bravi dal momento che egli ironicamente finge di non sapere che nella partita a due del ritratto è il pittore che tenta di afferrare la sua coperta.