1994 - Brescia, Museo Ken Damy (Presentazione di Pierre Restany “Abbiamo Tutti una Famiglia Napoletana”)

22 anni fa, Giannetto Bravi era, con Gianni Pisani, al mio fianco quando intrapresi a Napoli l’Operazione Vesuvio. Era il 1972, in pieno periodo di land-art, e io proposi ai Napoletani la conversione dei bordi della cima del Vesuvio in un parco culturale internazionale aperto agli artisti di tutto il mondo, desiderosi d’intervenire direttamente su questo luogo eccezionale.
Avevo proposto ad un centinaio di pittori e scultori di inviarci progetti d’intervento sul Vesuvio; siccome questa manifestazione coincideva con le elezioni generali, Giannetto partecipò alla campagna elettorale fasulla che mettemmo in piedi, Gianni Pisani ed io, per dare un’eco più vasta alla mia idea. E’ da questo momento che esiste questo legame molto specifico dell’amicizia che ci lega tutti e due. Credo in effetti che l’Operazione Vesuvio, ha toccato Giannetto Bravi al cuore della sua sensibilità profonda di napoletano.
Questo attaccamento a Napoli è un aspetto fondamentale della sua sensibilità e della sua personalità: incarna l’identificazione con una cultura collettiva, con una memoria individuale, con una gerarchia di valori affettivi.
Oggi l’artista vive, da molti anni, a Cislago, vicino a Milano, ma questo capitale referenziale e sensibile non è stato alterato in alcun modo.
Il ricorso alla cartolina che riproduce il cratere del Vesuvio ha costituito nel 1972 il contributo maggiore di Giannetto alla mia opera. Il suo intervento in qualche modo portava avanti il mio progetto. Le cartoline riportavano l’indicazione di un luogo preciso ai bordi del cratere. I destinatari erano invitati a raggiungere questo luogo, a prelevare un pezzo del Vesuvio e a riportarlo indietro, rico-struendo così l’integrità del luogo naturale.

Preceduta dalle valigie incatenate del 1971, la serie delle cartoline del Vesuvio si iscrive nella prospettiva centrale della visione di Bravi, vale a dire, il riferimento alla memoria napoletana.
Giannetto Bravi ha ricevuto una formazione di geologo che influenza direttamente la strategia linguistica del suo lavoro.
Con le “Gabbie prigioniere” e i “Ritratti di amici”, l’artista va ancora più lontano nella definizione e l’amalgama di strati geologici del suo intervento. I ritratti di critici e amici di Bravi conferiscono a questi ultimi un passaporto culturale, un brevetto di “napoletanità” in un certo senso. Credo che questo filtro colora e impregna l’intera visione di Bravi. Io son qui a testimoniare il lavoro attuale che consiste nell’ingrandimento e riporto su tela di cartoline e foto prese dal suo album di famiglia. Le cartoline riportano sul verso illustrato delle date, delle firme o delle menzioni di corrispondenza come era solito fare all’inizio del secolo. Queste formule di cortesia, tenerezza o di augurio personalizzano questi vecchi documenti e ci rendono complici di questo sentimento d’intimità imprevista che ci lega a loro. Quanto ai ritratti di famiglia che sono stati fotografati e ingranditi, partendo dalla loro cornice rispettiva, sono proprio dei ritratti di ritratti, delle referenze familiari sottomesse ad una doppia codifica visuale.
Il riporto d’ingrandimento su tela, a seguito del processo di prise de vue, dà sacralità all’immagine e ce la rende familiare allo stesso tempo. Ciò che ci propone Giannetto Bravi, tutto sommato è un invito al viaggio in una excavation permanente, un campo di scavi geologici nel quale i noduli della famiglia di Bravi costituirebbero il cuore del filone napoletano.
Certamente il fatto di sfogliare un album di famiglia è sempre vissuto come l’intrusione in un mondo segreto e altamente personalizzato. Ma Giannetto Bravi demistifica per noi questa operazione: ce la rende facile. Non abbiamo l’impressione di violare l’intimità della famiglia Bravi perché ci sentiamo adottati da lei. I documenti proposti da Bravi al nostro sguardo ci sembrano stranamente familiari. Dopo tutto potrebbero essere i nostri!
Così come le vecchie cartoline potrebbero esserci state spedite personalmente. C’è qui un trasferimento di comunicazione e amalgama d’identità. Questi documenti rientrano nel bene comune dei nostri scambi mentali e sentimentali. Questi ricordi diventano nostri. Questa è senza dubbio la finalità del me-todo di Giannetto Bravi: creare tra l’immagine e lo spettatore la complicità di uno stato d’animo personale. L’artista è un venditore di ricordi che la nostra memoria registra facendoli divenire propri. Abbiamo tutti una famiglia napoletana.