1995 - Milano - Museo Ken Damy - La Memoria Riappropriata

"... piccola aloia ti avevo accanto con il cuore in gola ..." Quanti potrebbero riscrivere queste dolcissime parole in calce ad una foto un poco sbiadita dal tempo, che ritrae i propri compagni di classe! Nostalgia di un passato che sedimenta i ricordi più belli? Forse. Ma l'artista Giannetto Bravi preferisce esorcizzare i rimpianti, presentando l'immagine con la scritta su una tela di 165 x 109 cm. in una mostra al Museo Ken Damy di Milano che ha per titolo "la memoria riappropriata".
Recupero del passato come atto riflessivo, cosciente riesame di valori esistenziali, attraverso un percorso di immagini prese dal cassetto dei ricordi o staccate dalle pareti di casa, semplicemente incorniciate o riportate nelle loro cornici e codificate nei nomi familiari, su grandi tele Rembrant. Bravi, che ora vive a Cislago, è un noto artista dell’avanguardia napoletana degli anni Sessanta, dedito nell’ultimo periodo a quel filone creativo che fa uso della rappresentazione fotografica per un’indagine sul linguaggio dell’arte.
La mostra al Ken Damy segue un percorso scandito da sezioni distinte per composizione espositiva e luogo di riappropriazione dell’immagine. Aprono questo viaggio della memoria, cinquanta fotografie in cornici standard prese dall’album di famiglia, metafora di un mosaico mancante di alquante tessere.
Ne “la biologia del tempo” invece, la struttura compositiva sulla parete si definisce nel quadrato formato da 108 pezzi di due foto-tessera dell’artista giovinetto.
Sono due le stampe con cornici fotografate e tre le foto cartolina rispettivamente dei temi “dal corridoio” e “dalla stanza degli ospiti”.
I ritratti di “Laura Bonato”, “Rino Bonato su triciclo con sconosciuta”, “Carlotta, Angiolo, Giovanni e Giannino” ed altri ancora, con passe-partout che riportano i nomi e vecchie cornici di legno o d’argento, anch’essi fotografati, diventano immagini cariche di sacralità nelle gigantografie su tela, “referenze familiari sottoposte ad una doppia codifica visuale”.

Fabrizio Rovesti