Vegetali Ignoti - Inverno 1995/1996 di Stefania Barile

Se la fotografia dagli anni ‘60 ad oggi sembra aver più volte tentato di soppiantare le arti figurative denominandosi essa stessa espressione d’arte, pochi hanno saputo riflettere sull’effettivo contributo che questo strumento poteva apportare all’arte contemporanea. Al di là delle esperienze legate al ritratto, alla moda, agli esperimenti sulla tecnica fotografica, solo alcuni hanno colto l’importanza che quell’immagine confezionata poteva acquisire nel pensiero di un artista. Giannetto Bravi (Tripoli, 1938) è uno di questi. Dalla fotografia ha colto il vissuto di colui che l’ha creata “fossilizzandola” in un negativo, la memoria segreta di quell’esperienza, la sintesi di un attimo di vita, di un’intuizione immediata.
Dagli anni ‘60 Bravi adotta due strumenti fondamentali per il suo lavoro, la fotografia e la cartolina, riproponendole in serie e in multipli, creando una sorta di codice “storico” ed “esistenziale”. Nella fotografia e nella tradizionale cartolina turistica egli scorge la sinteticità, l’emblematicità, la rappresentatività dell’immagine vista. E la sua opera da frutto di esperienze già vissute, già consumate diventa “la memoria della memoria”, una sorta di “ricordo del vissuto altrui”, una sorta di “solidarietà emotiva e visiva”.
Come se si trattasse di un reperto fossile l’immagine viene recuperata all’oblio, poi, ripulita dagli opachi strati di passato, riproposta con un volto nuovo, più volte fino a coprirne un’intera tela. O addirittura viene ingigantita a dismisura per mostrarsi in tutta la sua dignità di “immagine vissuta”. Se la cartolina è recupero e salvaguardia dell’ambiente naturale, l’opera di Bravi è recupero e salvaguardia dell’immagine vissuta di quell’ambiente.
La profondità e la ricchezza concettuale che fa da sfondo ai suoi lavori emerge continuamente soprattutto dai “Ritratti critici” degli anni ‘80. Qui l’artista che “ritrae” e il soggetto hanno un contatto “vivo”: il ritratto risponde, con un oggetto, un’altra fotografia, un simbolo scaramantico o delle lettere segrete ... completano le grandi tele. Il desiderio di creare o, meglio ricreare un rapporto un giorno esistito, un giorno vissuto tra l’artista e l’inquietudine del paesaggio naturale o l’intesa con un critico amico (Restany, Vergine, Dorfles, ...) riaffiora sempre, mostrando l’esigenza di conservare nella memoria e di preservare ogni momento della vita di ognuno. Se la vita cade inevitabilmente nella morte, non è detto che l’uomo non possa salvaguardare la sua storia di “essere in evoluzione”. Gli anni ‘90 racchiudono accanto alle immagini anche le parole. In questa realtà in cui tutto sembra rovinosamente precipitare nella massificazione, qualcuno desidera ancora dare all’uomo e alla sua memoria la giusta individualità.