Lombardia Oggi – Arte – Domenica 9 Gennaio 2000 di Fabrizio Rovesti

Questi i “Ravioli al vapore” conditi da Giannetto Bravi
I popoli si conoscono più per alcuni aspetti esteriori che per le caratteristiche che li sostanziano. Così dei cinesi abbiamo in mente immagini peculiari, come quelle riguardanti gli oggetti legati al consumo del tè o dei cibi offerti dai ristoranti tipici, ormai diffusi ovunque. Giannetto Bravi ha selezionato alcune di queste icone commerciali e le ha portate, con trasferimento fotografico, su tela, quindi, appendendole ai muri della galleria milanese Dieci.Due!, ha creato anche con l’inserimento di suppellettili, degli ambienti cineseggianti. Titolo della mostra “La mia Cina è buona da mangiare”. Sulle pareti risaltano le immagini colorate e un po’ sfocate del “Pollo fritto al limone”, delle “Cappelle di funghi con verdura saltata”, dello “Stufato d’anatra saltato con alghe”, dei “Ravioli al vapore”, illustrazioni fotografiche su sfondi rosso lacca, che al ristorante aiutano il cliente a scegliere i piatti proposti dal menù.
Due raffinate installazioni, “Tè Jasmine” e “Glappa di lose”, si avvalgono, la prima, di tavolino in stile dinastico, teiera e due tazze, la seconda, di tavolino, centrino ricamato, grappa di rose e due bicchierini; entrambe sono collocate davanti a due grandi tele che riproducono i sottopiatti plastificati dei locali pubblici: un “finto” scenario orientale – come scrive nella presentazione Lorella Giudici – fatto di fiori e leggiadre fanciulle, dipinto in origine, come augurio di felicità e prosperità, da un antico maestro cinese, poi ridotto a oggetti di consumo e ora rifotografato da Bravi, “che gli ha restituito l’onore e la dignità di un luogo d’arte”. Ancora un bel ingrandimento, su tela, di un sottopiatto riccamente ornato, “L’acqua è calma tutta d’intorno” con campanule rosa e due anatre variopinte.
Insomma, Bravi si appropria della iconografia commerciale della Terra del drago, attuando una operazione che conferisce all’opera ricreata l’aura del pezzo unico. Nelle installazioni, che non hanno riferimenti nella realtà, l’artista incrementa il potenziale evocativo del lavoro, esteticamente affascinante, mediante l’aggregazione di oggetti simbolo. Possiamo senz’altro parlare di “simulazione”, secondo il pensiero di Jean Baudrillard, ovvero del processo di creazione dell’immagine “simulacro” attraverso la strategia, estetica, della seduzione.