2000 - Brescia, Galleria Vanna Casati 10 Giugno “Douce France” (Presentazione di Gabi Scardi “Que Reste - T’il De Nos Amours...”)

“Que reste -t’il de nos amours, que reste -t’il de ma jeunesse...”, canta Charles Trenet, il cantautore francese che, per sessant’anni, ha dato voce ai sentimenti e ai sogni, alle parole tenere e ai desideri ardenti di una Francia provinciale. “Cosa resta dei nostri amori, cosa resta della mia gioventù, cosa dei messaggi d’amore...”. Giannetto Bravi, il “ladro d’immagini”, si è appropriato di quel passato, di quegli amori, di quei biglietti.
In una delle sue sortite tra la polvere delle bancarelle, Bravi si è imbattuto in una serie di immagini di uso strettamente privato, e se n’è appropriato.
Sono cartoline corredate di frasi stampate o di messaggi aggiunti a mano che gli innamorati usavano scambiarsi, all’inizio del secolo che è appena passato. Giovani uomini in giacchetta e scarpe di vernice si dichiarano con sguardo languido, giovani donne pazze per il cinema e cresciute nella convinzione di dover sposare un principe azzurro si atteggiano a “Star” adottando a modelli le attrici preferite e si sentono irresistibilmente chic mentre sono terribilmente kitsch. Gli sguardi abbassati o rivolti verso un punto lontano, appoggiate ad un muretto di campagna artificiosamente in posa come se fossero sullo scalone di un castello, stringono fiduciose l’immancabile mazzolino di fiori, che pare sempre appena colto.
Lo sfondo è costituito da un paesaggio sempreverde, gli uccellini non possono che cantare, la vita sembra tanto gentile. Il tempo non conta.
Gli innamorati si scambiano frasi di un’immediatezza quasi inverosimile, frasi che vorrebbero essere appassionate, mentre suonano trite o banali: tutti i “ti amo” privi di mistero, i “ci baceremo mai?”, i “pour toujours”, i “mon bonheur” che forse avrebbero voluto dirsi, ma che risultava più facile esprimere per iscritto. Se passione c’è stata in quelle righe, il tempo sembra averla diluita. Le parole non vibrano più. Perse ormai la spontaneità e la malizia, restano frasi melense, eleganza d’occasione, sguardi leziosi.
Viene da chiedersi se sia possibile che si tratti di una così totale, privilegiata mancanza di consapevolezza, o è semplicemente lo svolgersi lineare ed apparentemente limpido di riti sociali collaudati? Il fatto è che nell’educazione sentimentale di allora non la libertà, ma un legame d’amore era la meta ambita. E come nelle favole, che finiscono sempre con “... e vissero felici e contenti”, non si diceva mai cosa succede davvero, dopo.
A chi sa che la formula per fermare il tempo non è ancora stata scoperta, che il sogno non ha la forza di modificare la realtà, che la gioia è passeggera, che la vita scorre mentre noi ci dedichiamo ad altro, sembra impossibile pro-vare nostalgia per queste immagini, così banali nella loro sdolcinatezza, così pretenziose ora, nelle innaturali dimensioni che la manipolazione di Bravi ha conferito loro, privandole di ogni intimità.Abituati come siamo alla velocità che rende impossibile qualsiasi pausa, alla tirannica urgenza di novità che favorisce l’amnesia permanente, e alla raffinatezza, al glamour, all’aggressività delle immagini da carta patinata o da televisione, ci diventa difficile anche solo soffermarci ad osservarle. Ma Bravi sa quanto sia comune il dare valore a ciò che si possedeva solo quando non lo si ha più.
Per questo è sempre stato attirato dalle immagini ordinarie, comuni, da quelle immagini dal retrogusto casereccio, dalle “piccole cose di cattivo gusto”, kitsch e popolari, di ieri e di oggi che sono le più diffuse ma sembrano non meritare troppa attenzione, e per questo sono le prime a perdersi.
Non per nostalgia, né per folklore, ma per una sorta di scrupolo archivistico Bravi ha intrapreso il suo percorso alla scoperta del patrimonio d’iconografie condivise che ognuno di noi si porta inscritto nel bagaglio della memoria senza quasi rendersene conto. Un inventario del passato prossimo, un’opera sistematica di ricognizione e campionatura, di classificazione di luoghi e di sentimenti, che riguarda un passato che non è necessariamente il nostro.
Meticoloso e attento, quando trova immagini che fanno al caso suo Bravi le recupera: le fotografa, le ingigantisce e riporta su tela, a volte ripetute a formare una serie o una sequenza, con un processo di realizzazione lungo ed elaborato da cui la manualità è bandita: quasi desiderasse lasciar parlare le foto, e s’imponesse una sorta di astensione, una voluta neutralità. Ma il numero stesso dei passaggi rende sensibile l’effetto di distacco e di decantazione del significato.
C’è un aspetto sottilmente impietoso in questa operazione. Come quando, in occasione di un trasloco, è necessario vuotare i cassetti in fondo ai quali sono sedimentate vecchie carte, vecchie cose private di ogni funzione, dimenticate e inutili, imbarazzanti, tenere, ormai sepolte sotto mucchi di altri oggetti come lo sono, nella nostra mente, sotto le esperienze successive, sotto mille pen-sieri. Cose che rappresentano il passato, che fanno parte di noi senza che ce ne rendiamo conto.Non possono essere gettate, ma non possono trovare un nuovo posto. Il loro senso sta nella stratificazione. Sottratte ad essa si rivelano inconsistenti. Più forte che mai, in queste immagini, si avverte il senso che sottende il lavoro: quello di una perdita inesorabile, definitiva.
Ciò che è perso non è più sostituibile. Quel mondo è cristallizzato, quel tempo bloccato. È un mondo, già scomparso, di immagini démodés. Bravi fa leva su un sentimento generico di nostalgia soltanto per poi introdurre, in modo surrettizio, una sensazione di estraneità: non siamo mai stati così, noi.
Queste immagini, tracce di sogni lontani che sembrano potersi dissolvere al solo guardarle, rappresentano la memoria di desideri che forse non si sono mai realizzati, sono espressione di momenti di armonia che probabilmente non solo noi, ma nessuno ha mai vissuto, che non hanno avuto realtà propria. Non è legittimo provare rimpianto per un passato che non è il nostro. Cio-nonostante si fa strada una strana, contraddittoria sensazione di tenerezza per queste immagini in affanno, che vorrebbero essere riconsegnate ai loro cassetti, alle vecchie scatole, alle pagine del libro dal quale sono scivolate.