Napolipiù - Domenica 8 Maggio 2005 L’intervista la lasciò (per Milano) negli anni settanta: Giannetto Bravi parla della sua città. Dopo l’inaugurazione della sua mostra napoletana nella galleria di Dina Caròla
“Napoli, bella da morire” di Clorinda Irace

Il suo sito internet (www.giannettobravi.it) parla chiaro: l’artista si presenta al suo visitatore virtuale abbracciando una cartolina illustrata con il golfo, il pino e la canonica scritta “saluti da Napoli”. Come a voler ribadire, dal punto di vista privilegiato di una vita ormai lontana dall’amata città, un legame che sopravvive agli anni e alla distanza, un legame con la città della sua forma-zione, dei suoi primi successi artistici, complice un Vesuvio che lo intriga in quanto geologo ma anche e soprattutto come artista. Nacque così, negli Anni ’70, “Operazione Vesuvio” (ideata dal critico Pierre Restany e sostenuta attivamente dall’artista Gianni Pisani) in cui valigette gialle si riempirono di pietre laviche per preservare idealmente il vulcano dall’assalto del cemento e di un progresso sempre più arrogante. Più tardi, nel ’98, Bravi colleziona cartoline e fotografie del primo Novecento che hanno come denominatore comune la riproduzione di scorci tipici di Napoli per “Napoli sei bella da morire”, esposizione milanese che è un’ennesima testimonianza d’affetto pur senza cedere a tentazioni sentimentali e romanticheggianti.
L’occasione per un ritorno tra luoghi e persone amiche è la mostra in corso alla Galleria di Dina Caròla in via Orazio, “Valigie Bravi per un viaggio nel passato: 1969 –1973 “ che si sofferma proprio sugli anni napoletani dell’artista proponendo al pubblico opere emblematiche della sua produzione come le “Valigie con catene” una serie di valigie in metallo contenenti catene, completate da una serie di fotografie di Mimmo Jodice (realizzate durante una performance documentativa) che chiariscono il senso delle catene da utilizzare per i “più dolci legami d’amore” come scrisse Pierre Restany, ossia per avvolgere la persona amata: opere del 1971 che allora furono esposte sia a Napoli, sempre da Dina Caròla, che a Milano, nella nota Galleria Apollinaire. In mostra ancora le valigette di “Operazione Vesuvio” quasi appoggiate alla foto che le mostra mentre qualcuno le riempie per “invaligiare” metaforicamente il più famoso vulcano del mondo. Altri dei lavori esposti in mostra sono di periodi successivi ma sempre relativi al Vesuvio mentre sono stati realizzati proprio per questa esposizione 25 multipli in metallo dorato numerati e firmati su un prototipo del 1973.
Incontriamo Giannetto Bravi in occasione di questa bella mostra e il discorso cade sulle sue ultime opere che fanno parte di un progetto intrigante, “la Quadreria di arte antica” che egli definisce il museo di tutti i musei poiché lo porta a lavorare sulle riproduzioni di cartoline raffiguranti opere dei maestri del passato. Un lavoro aperto, che si arricchisce a ogni visita a nuove città, nuove mostre, nuovi musei. Quanto a Napoli, l’artista accetta volentieri di parlare della sua esperienza artistica ed umana per il nostro excursus sull’arte contemporanea.

Giannetto Bravi è nato a Tripoli ma il suo accento somiglia vagamente a quello dei napoletani…
“Sono nato a Tripoli, dove mio nonno si era trasferito molti anni prima, da madre libica. A un anno e mezzo giunsi a Napoli dove ho studiato geologia, ho cominciato a lavorare e contemporaneamente a fare l’artista. Ho fatto nella mia vita altri lavori oltre all’arte che è stata sempre una costante. Credo che chi oltre a fare l’artista svolge altre attività ha un bagaglio umano molto più ampio. Tornando al mio rapporto con Napoli, a 36 anni mi sono trasferito ad Origgio, vicino Milano ma con la città che mi ha formato il rapporto continua, c’è qui mia madre e periodicamente vengo giù. Inoltre, seguo le mostre, le attività culturali napoletane.”

Perché lasciò Napoli?
“Per motivi di lavoro. Lavoravo alla Ciba come informatore medico scientifico e ottenni una promozione trasferendomi. A Milano lavorai anche nell’editoria scientifica: mi sentii subito a mio agio ed inoltre la mia attività artistica fu subito favorita dalla presenza di tante opportunità. Feci tre personali subito, in tre gallerie molto importanti, entrai in contatto con critici come Lea Vergine, Gillo Dorfles e tanti altri. Dopo dieci anni, qualcosa cominciò a cambiare. Scoprii che mi mancava l’affettuosità dei napoletani, mi sentivo solo, estraneo, non integrato nell’ambiente sociale nonostante il lavoro fosse facilitato. Ne scaturì un esaurimento nervoso. Certo oggi mi regolerei diversamente, me ne andrei a New York che è il vero centro dell’arte contemporanea. “

Un confronto tra Napoli e Milano…
“Lasciai Napoli nel 1974, la città allora era ancora piuttosto tranquilla. Successivamente, durante le mie frequenti visite, la ritrovai caotica e problematica, poi, con Bassolino, si è aperto una nuova stagione, Napoli ha riconquistato un’atmosfera da città unica. Ha un‘effervescenza che Milano – che ha perso lo smalto degli Anni Settanta/Ottanta – oggi non ha. Inoltre a Napoli finalmente si sono scoperti i media, si è imparato a diffondere le tante cose che si fanno: prima nessuno era a conoscenza di quanto accadeva qui da voi, oggi si co-nosce bene ciò che avviene in ambito culturale ed artistico e molti vengono da fuori per vedere mostre ed eventi.”

La critica Lea Vergine, dalle colonne di questo giornale, ha affermato che la nostra è una città difficile per un artista. Lei come la pensa?
“Proprio la Vergine ha catalogato a Milano 490 sedi espositive di varia grandezza. E’ indubbio che li si aprono e si chiudono gallerie molto facilmente anche se non c’è più la dinamicità degli anni ottanta. Ciò rende la vita più facile ad un artista! Ho sempre pensato, poi, che se non vi è la possibilità di soddi-sfare i bisogni fondamentali non si compra un quadro che è un surplus: dove c’è povertà non si riesce a diffondere l’arte, lo dimostrano le grandi civiltà del passato che quando hanno raggiunto l’apice economico hanno espresso il meglio anche dal punto di vista culturale ed artistico.”

Lei parla dei privati. E le istituzioni?
“Le istituzioni al nord funzionano molto più nei piccoli centri dove in spazi pubblici si organizzano mostre ed eventi culturali. Un esempio può essere la Colombera a Cerro Minore che è diventata un punto di riferimento per l’arte contemporanea.”

Qual è oggi il suo rapporto con la città della gioventù?
“Innanzitutto affettivo, torno sempre volentieri. A vivere qui, però non tornerei mai. Su è tutto più semplice, i rapporti professionali sono più lineari, è facile farsi ascoltare, ricevere delle risposte chiare, un si o un no. Qui invece c’è più ambiguità, ti dicono “vediamo, aspetta, richiama…” A pensarci bene, tornerei ma … a Posillipo, con una bella rendita, senza dover lavorare!”