La Quadreria d’arte di Giannetto Bravi. Quando con l’arte si può anche fare arte

Chi di noi non ha mai sognato ad occhi aperti il suo personale museo? Chi di noi, contemplando le opere più amate, non ha desiderato almeno per un momento di averle soltanto per sé? A chi non è passato per la mente di rielaborare secondo la sua creatività qualche capolavoro della storia dell’arte, pur senza arrivare a provare l’impulso di dipingere i baffi alla Gioconda? Gian-netto Bravi, da vero artista quale è, non si limita a fantasticare o desiderare e, colla alla mano, se lo allestisce il suo museo dei sogni, generosamente invitandoci poi a visitarlo. Sotto la sua guida: ne è il custode, il conservatore, il direttore. Ma il senso della sua operazione non si esaurisce, certamente, nella capacità di realizzare un sogno di tutti.
Anche chi conosce e segue da tempo il lavoro di Giannetto di fronte a que-sto ultimo ciclo di opere che va sotto il titolo di Quadreria d’arte, cui l’artista sta lavorando con ottimi risultati da anni, resta stupito per il suo incredibile fascino e per l’acuta intenzionalità artistica che l’autore ha ancora una volta dimostrato, in questa nuova avventura. Non certo perché tale nucleo di opere non sia congruente con il percorso artistico di Giannetto, un cammino di ineguagliabile coerenza e profondità, pur nella sua apparente leggerezza, dovuta alla presenza di una forte dose di ironia, la sola arma che ci resta per guardare lucidamente al mondo che ci circonda. Di fatto, la Quadreria non può che essere intesa come un ulteriore passo che l’artista ha compiuto su una via tracciata da tempo.
La ricerca artistica di Giannetto si è, infatti, sempre caratterizzata, sin dagli esordi, per un suo spiccato atteggiamento che potremmo definire da archeo-logo. Una disposizione che lo ha portato ad elevare a propria metodologia espressiva la sistematica raccolta di ricordi, tracce e reperti di vita. Quando penso a Giannetto, lo immagino spesso intento a scavare negli strati più profondi della realtà, oltre la banalità della superficie, per attingere proprio attraverso quella, al passato, alle radici, alla storia, quella con esse minuscola, quella della vita quotidiana di ciascuno di noi, che spesso teniamo sotterrata nei meandri della memoria. Alla realtà, insomma. Proprio in virtù di questo suo atteggiamento, Giannetto da decenni non “produce” letteralmente opere, ma piuttosto le crea a partire dagli elementi della realtà, usandoli e manipolandoli. Ben presto, però, egli si è con decisione allontanato dall’oggetto vero e proprio per interessarsi, ormai esclusivamente, alla sua immagine. Apparentemente in straordinaria sintonia con il presente - quella in cui viviamo non è soltanto la società, ma più sottilmente la cultura dell’immagine -, ma in realtà in viva e profonda dialettica con esso, Giannetto ha accantonato la concretezza materiale della realtà per concentrarsi sulla sua interpretazione visiva. Il cuore del suo lavoro sta proprio nell’essere riuscito a ribaltare la pro-spettiva comune. L’immagine appassiona Giannetto. Ma proprio mentre una sequenza ininterrotta di visioni fugaci e superficiali ci rende quasi incapaci di osservarle con attenzione e di andare oltre la loro superficialità, egli ci fa capire come l’immagine, centro da sempre della riflessione artistica, debba ritornare ad essere veicolo di contenuti ulteriori. Evidentemente, quindi, nel suo caso non siamo di fronte ad una traduzione in termini pop dell’objet trouvé, quanto piuttosto di una ripresa, moderna, dell’oggetto d’affezione. Insieme a lui, attraverso le sue opere, possiamo riflettere sui “fantasmi” delle cose, su quanto del reale, di fatto, noi riusciamo davvero a possedere, a custodire nella no-stra memoria. Quasi che veramente, una volta fotografata, la realtà restasse privata della sua anima e Giannetto riuscisse a catturarla nelle sue opere, e lì a farla vivere per sempre. Non a caso, quindi, protagonista dei suoi lavori è ormai da molti anni la cartolina: qualcosa di ben diverso da una semplice immagine ritagliata dal corso degli eventi e recuperata quale fugace traccia di realtà, da un ricordo strappato abilmente al flusso delle cose. La cartolina è, già di per sé, un oggetto destinato al culto della memoria, al recupero del passato, è il vessillo della lotta contro il tempo che trascorre inesorabile e tutto trasforma, tutto brucia senza rispetto, anche quanto per noi, per la nostra vita è tanto fondamentale da non passare mai. Già in questa scelta, apparen-temente un po’ nostalgica e gozzaniana, Giannetto sembra mostrare il suo lato più nascosto di intelligente, ironico, inguaribile romantico. Non si tratta, infatti, nel suo caso di uno sterile e antimoderno culto dell’antico: il nostro artista non fugge dal presente, dell’attuale, riparando nella memoria. Invece, contrariamente alle apparenze, si libera da ogni atteggiamento feticistico e fa vivere, in un unico tempo, il passato e il presente. Quanto di romantico c’è nel suo atteggiamento è la fiducia, per certi versi quasi utopica, nella responsabi-lità dell’artista verso la realtà. Giannetto rivendica per l’artista, dunque per se stesso, la sua forte presenza “autoriale”, di colui che dà indicazioni ed aiuta a riflettere. Senza esprimere giudizi, senza ombra di pesante presunzione. Come dimostra il fatto che egli, con le sue opere, strizza l’occhio all’ansia compulsiva del collezionista, rendendosi partecipe di questa nevrosi, ma con il distacco dato dalla consapevolezza, che si traduce nel tono lieve e scanzonato grazie al quale l’artista sdrammatizza l’accuratezza maniacale con cui cura ogni particolare, persino l’allestimento dei lavori.
E’ importante ricordare come, nel caso della Quadreria d’arte, il discorso poe-tico ed espressivo dell’artista si sia fatto, rispetto alle ricerche precedenti, ancora più articolato e complesso.
Non può sfuggire, infatti, come in questa serie di lavori, che vanno concepiti come una gruppo sempre in crescita, l’immagine che Giannetto sceglie di tradurre nel suo universo artistico sia – già in origine – una immagine artistica. Il suo discorso, quindi, diventa più esplicitamente meta-linguistico. Se la sua operazione si è sempre caratterizzata per essere fondata sulla appropriazio-ne di un’icona precedentemente esistente, la cartolina, dopo aver affrontato tematiche folkloristiche o cinematografiche, ora egli prende la mira con più decisione e concentra la sua attenzione proprio sulle “belle arti”: gioca in casa. Implicitamente le sue opere diventano una riflessione, pur sempre piacevole e mai pedante, sull’arte stessa. Con precisione e costanza, egli interpreta a modo suo il capolavoro, restituendocelo riprodotto in serie (generalmente di quattro, sei, otto o dodici cartoline), sfumandone l’ “aura” e utilizzandolo, quasi fosse un segno pittorico, un elemento cromatico o materico, per dar vita alla sua nuova opera. Senza però mancargli di rispetto. Anzi, regalandogli una esistenza nuova, più attuale, quasi a testimoniare come l’opera d’arte possa vivere di vita autonoma ed essere fruita secondo le più diverse inclinazioni.
Credo si possa dire che, con questo corposo ciclo di lavori, una serie che per sua stessa natura è destinata ad essere potenzialmente infinita, Giannetto ha raggiunto il culmine della maturità del suo percorso. La sua indagine a trecentosessanta gradi sulle immagini che hanno fatto parte della sua e della nostra vita, non poteva che condurre l’artista a confrontarsi direttamente con l’arte, con l’espressione che più compiutamente ha concorso a creare e definire, nel corso dei secoli, il nostro immaginario collettivo.

Cristina Casero