Il museo immaginario di André Malraux

La questione è dirompente ma inconfutabile. Non esiste più la storia dell’arte, o almeno non esiste più con quelle sottili distinzioni che servivano a porre categoria di riferimento nelle menti degli studenti del ginnasio. Utili riferimenti come l’antico, il medioevale, il moderno, il contemporaneo, dove per contemporaneo s’intendeva il ciclo iniziato da Canova, si sono mescolati fra di loro come il pongo dei bambini dopo tre mesi di utilizzo costante.
L’arte è un magma che ha preso addirittura un colore diverso. Già quel geniaccio illuminato che fu André Malraux s’era accorto della cosa quando quarant’anni fa scrisse il suo libretto illuminante su ciò che egli chiamava il museo immaginario, e cioè il compendio mentale che l’uomo moderno aveva a disposizione e che per la prima volta nella storia lo poneva nel medesimo istante dinnanzi alla fotografia d’una statua kmer e d’un Cristo catalano del dodicesimo secolo. Si stava scoprendo che il concetto di arte contemporanea era lì per svanire proprio perché tutta l’arte era in procinto di diventare contemporanea. Poi con rapidissima successione sono esplosi sia l’editoria multicolore d’oggi, che internet e che, soprattutto, il diritto per ognuno di noi di scattare migliaia di fotografie lasciandole intatte nel computer, a costo nullo, e di elaborare quindi le fototeche personali che tutti gli storici dell’arte passati si sarebbero sognate.

Giannetto Bravi, forse perché è napoletano, forse perché è sensibile, o forse per i due motivi assieme che alcuni reputano essere intimamente legati, ebbene Gianetto Bravi questa mutazione l’ha sentita secondo parametri suoi. Con le cartoline dei musei. Perché ovviamente il suo strumento non poteva essere quello fornito dalla banale contingenza odierna. Si sarebbe trattato d’una prassi troppo lontana dalla necessaria ironia che è per lui parametro maieutico fondamentale per affrontare il mondo. L’obsolescenza garbata della cartolina che si acquista sul banchetto del museo, souvenir minimo destinato normalmente all’ oblio, viene da lui riscattata. Una cartolina è stolta, sei cartoline identiche, o quattro o tre, corrispondono ad una serialità concettuale sufficiente a fare scattare la molla poetica: se poi il risultato viene incorniciato con l’eleganza della dovuta retorica antiquariale, meglio ancora. E se tante cornici vengono assieme appese alla parete il salto è ulteriore. Perché si viene a determinare una situazione visiva talmente inattesa da trasferirla in una dimensione all’apparenza nuova ma sostanzialmente invece evocatrice della catalogazione più ancorata e sedimentata che frequenta solitamente la nostra mente: quella del museo. Giannetto Bravi reinventa il museo della mente e lo rende tangibile. Poi, con lo sguardo sconsolato del pensionato diventato custode volontario, lo veglia. E’ qui infine che conclude il suo percorso perverso e magico poiché decide di lanciare uno sguardo benevolo a noi, gli spettatori, gli utenti, o forse le sue vittime. Raggiunto questo punto apicale ha egli conquistato il potere, quello vaticinatore di chi media fra le nostre curiosità e l’antro infinito del sapere che la sensibilità artistica porta con sè come un destino.

Philippe Daverio