1980
Milano
Studio Marconi
Ritratto-Autoritratto di sette critici: G. Ballo, A.B. Oliva, A. Del Guercio, G. Dorfles, F. Menna, P. Restany, L. Vergine

Articoli/testi correlati
Arte e Critica - 1980
Gala International – Marzo 1980
Gino Grassi - Napoli Oggi – Mercoledì 3 Aprile 1980

Lettera a Filiberto Menna come storia di un ritratto-autoritratto

Caro Filiberto,
nel 1973, dopo aver partecipato come uno dei fondatori della Galleria inesistente al Risveglio del Vesuvio (1969) e dopo aver partecipato con artisti europei all'Operazione Vesuvio stimolata da Pierre Restany con l'invaligiamento del Vesuvio (allegato n.1), continuavo solitario un'operazione sul Vesuvio durata un anno, in cui utilizzavo le classiche cartoline turistiche (allegato n.2) che spedivo in tutto il mondo ad amici, critici e gallerie.

Allegato 1 Allegato 2

Nel 1974 esponevo alla Mostra "Eros come linguaggio", a Milano, i primi quadri in cui le cartoline, incollate una accanto all'altra, assumevano caratteristiche diverse da quelle per cui erano nate e mi servivano da sfondo o supporto visivo a reperti del Vesuvio stesso (allegato n.3).
Nel 1976 le cartoline non riguardavano più soltanto il Vesuvio, ma molti altri argomenti del nostro vivere quotidiano (allegato n.4);compariva tra l'altro il primo ritratto non in catalogo (allegato n.5) che si può considerare l'antesignano degli attuali.

Allegato 3 Allegato 4 Allegato 5

Questi primi ritratti (poiché ritratti erano a partire dall'Operazione Vesuvio) costituivano, però, un operare a senso unico su di un soggetto passivo; quello che desideravo, invece, era la partecipazione attiva del soggetto ritratto. Fu così che verso la fine del 1976 chiesi a Pierre Restany, passeggiando in Galleria Manzoni, la sua collaborazione. Si sviluppò, in quell'incontro principalmente, il concetto di elemento segreto, che lui affidò a un diario epistolare di un anno; solo in un secondo tempo gli chiesi di fornirmi una sua foto che considerasse immagine rappresentativa di sé stesso e che io ho ridotto, come poi tutte le altre, alle dimensioni di circa una cartolina (cm 10,2x14,4). Con questi elementi composi quindi il mio primo ritratto-autoritratto, utilizzando anche un panno lenci rosso su cui sono spillate le venti lettere speditemi nell'arco di un anno (1977).
Il primo esperimento mi sembrava compiuto e ne mostrai la riproduzione fotografica alla signora Lea Vergine che, in un certo senso, mi commissionò subito anche il suo ritratto.
Uno scatolone che un tempo doveva contenere un capo di vestiario adesso era colmo di foto: ricordi di famiglia, immagini della prima infanzia, istantanee legate all'attività professionale, firme di autorevoli fotografi, insomma un pozzo di memorie in cui poter attingere. Scegliemmo tra queste una foto di Enzo Mari che mi colpì in modo particolare e che già vedevo come filo conduttore del suo ritratto, poi altre tre che mi sembravano raccontare e concludere una storia precisa.
Restava scoperto l'elemento segreto ma qui in un cassetto della grande scrivania di lavoro era riposto un involucro dall'aspetto stanco per gli anni che una volta aperto ci dette la soluzione che ora tu vedi riposta sotto sigillo in bacheca.
L'idea sembrava ancora una volta funzionare e pensammo di allargare il ritratto-autoritratto anche altri critici. Primo tra questi fu il Prof. Gillo Dorfles che si prestò con entusiasmo. Nel silenzio ovattato del soggiorno che si affaccia su piazza Lavater anche lui tirò fuori il suo piccolo archivio di memorie. La scelta, salvo qualche incertezza, fu abbastanza rapida perché il Prof. Dorfles era già orientato su un'immagine del passato; a questa ne aggiunsi un'altra che al momento non sapevo come avrei utilizzato, ma che comunque consideravo espressione statica del suo procedere composto senza problemi tra pile di porcellane cinesi. Il suo segreto più che segreto sbocciò per suo volere in un oggetto misterioso che tu puoi osservare nella piccola bacheca di plexiglas trasparente. Difficile a dirsi è un pinzacarte di vecchia data fino a poco tempo fa strumento assiduo del suo lavoro. Il Prof. Dorfles fu anche gentile nel consigliare una rosa di critici da avvicinare perché li coinvolgessi in questo lavoro.
Purtroppo mi si ponevano a questo punto dei problemi logistici e principalmente di conoscenza per cui preferii restringere a pochi altri questo discorso ed in particolare a quelli che bene o male già conoscevo, eliminando così la componente inibitoria dell'ignoto. Devo dire che a questo punto il lavoro si trasformò in una caccia telefonica al personaggio, alcune volte anche umiliante, come nel caso di Mario Perazzi. Tecnica di fuga di Perazzi: (possibilità di sentirlo telefonicamente ore 8-8,15 Corriere d'Informazione).
"Pronto. Ah ciao. Va bene per te domani alle 19 al bar di fronte a casa mia? Soltanto ritelefonami per cortesia domani mattina per una conferma". Ore 8-8,15 dell'indomani. "Pronto. Ah ciao. Mi dispiace, non posso, rimandiamo alla prossima settimana a casa mia. Soltanto per cortesia telefonami la mattina per una conferma". Risultato 15 telefonate a vuoto, escluse quelle in cui non c'era.
Delusioni anche con Tommaso Trini, ma assorbite nell'arco di un unico incontro.
Ti chiedo scusa per questa parentesi di sfogo, ma il caso Trini consente di spiegarti perché le mia scelte erano cadute sui critici e non sugli amici, parenti e galleristi come avrebbe voluto lui. La risposta è semplice. Il ritratto-autoritratto era nato con la collaborazione di Restany e veniva a mano a mano verificato con Lea Vergine e Gillo Dorfles. Necessitavo, quindi, per il momento di altre conferme di addetti ai lavori.
Oggi posso dire che il ritratto-autoritratto esiste ed è ovviamente estendibile a tutti.
Fortunatamente per me, altrimenti le delusioni sarebbero state troppe, ebbi nel frattempo l'accettazione del Prof. Ballo che, risolti in un primo incontro tutti i dubbi del caso, mi accolse nel suo studio di via Fiori Oscuri, accanto all'Accademia di Brera. Qui, deciso ed ormai compenetrato nel ruolo, ripropose di suo pugno una poesia "Caso" del 1969, mi consegnò una sua pubblicazione "Alphabet du soleil" e mi svelò che il 7....., procuri il 7 è il mio numero magico.
Io ho rispettato questo scaramantico 7 unendo con una linea immaginaria questi elementi fra loro formando un ulteriore 7.
Poi ci fu una mia telefonata a te con la mia richiesta d'uso; ricordo un po' la tua perplessità iniziale se il mio lavoro prevedeva un intervento diretto sulla foto, cioè sulla persona fotografata e la mia risposta negativa in quanto la memoria fotografica va rispettata nella sua integrità. La tua necessità di riflettere ed infine il tuo suggerimento di come inserire il tuo elemento segreto che solo un'attenta lettura avrebbe svelato.
Poco da svelare, ovvero nessun segreto per Achille Bonito Oliva. "Autocritico Automobile" è un correr veloce sulla pista della razionalità. Tutt'al più come mia ha detto "La mia fotografia è lo strappo della prima pelle del ritratto".
Ed infine il Prof. Aurelio Del Guercio è approdato ad un'immagine della sua infanzia - unica, gelosamente custodita - che sentivo isolata in questo ambiente estremamente dilatato.
Anche qui non c'è un segreto palese, ma piuttosto l'applicazione di un colore che ha ridato a Del Guercio bambino la dimensione perduta. Ah dimenticavo che quando così terminai questa mia piccola galleria avrei aggiunto con piacere anche il ritratto-autoritratto del Prof. Giulio Carlo Argan. Per essere completi, pertanto, ti accludo la mia lettera e la sua risposta (allegato n.6).
Altro ed ultimo allegato: alcuni cenni bibliografici (allegato n.7).

Allegato 6 Allegato 7


Grazie per avermi pazientemente letto, affettuosamente.

Giannetto Bravi

Saronno, 20 dicembre 1979

---

Caro Filiberto,
ti accludo le foto, in ordine cronologico, dei sette quadri eseguiti a voi critici. I quadri sono composti da una serie di foto (formato cartolina) incollate su tela; le dimensioni sono di 160x160 cm. esclusi i primi tre, il cui formato è di 130x130 cm.

Questo lavoro, come d'altronde tu sai in quanto vi hai preso parte, inverte i ruoli dell'artista e del soggetto ritratto, in quanto il primo ha sempre operato tentando un'interpretazione del personaggio ritratto, in termini estetici, ideologici, politici, sociali e, a parer mio, in definitiva di prevaricazione dell'individuo.

In questo caso invece si è voluto che il soggetto ritratto fosse l'artefice dell'immagine di se stesso, possibilità che gli si è lasciata dal momento che ha potuto frugare nella sua memoria e scegliere quale fosse l'elemento più significativo di se stesso; contemporaneamente gli si è lasciata anche la facoltà, sebbene non tutti l'abbiano sfruttata, di celare sotto sigillo un'intima segreta porzione della propria personalità di cui noi tutti siamo gelosi custodi.

Allora qual'è il mio intervento? Direi che è quello di aver messo a disposizione il mio linguaggio estetico nella realizzazione di un ritratto forse il primo "inter pares", forse il primo ritratto democratico.

E' giusto, però, a questo punto che tu possa pensare  che di masochisti e sadici sono piene le fosse... evviva il sadismo che ha dato ben altri risultati. Se, invece, mi ritieni degno di una tua presentazione, ti ringrazio anticipatamente e resto a tua disposizione per ogni chiarimento necessario, visto che i lavori sono affidati soltanto ad una riproduzione fotografica.

Ti saluto affettuosamente,
Giannetto

Saronno, 10 ottobre 1979

P.S. Sono in trattative per una mostra; ti terrò informato degli sviluppi.

---

Presentazione di F. Menna “La Coperta di Linus”

Riconosciamo la seduzione del ritratto, il fascino indiscreto che l’immagine esercita su di noi quando ci rimanda, dall’altra parte, i tratti del nostro volto. E ammettiamo la propensione a rilasciare al ritratto un lasciapassare che d’abitudine non siamo molto inclini a concedere ad altre immagini: di porsi cioè senza rimorsi concettuali sotto il segno del Somigliante. Ci poniamo quindi una domanda indiscreta, se non ci siano altre ragioni di questo fascino indiscreto che l’immagine somigliante esercita sugli spettatori, anche i più scaltriti. E’, in qualche misura, l’indiscrezione alla quale il soggetto si sente esposto quando è preso di mira dall’obiettivo fotografico, per cui è portato a reagire in modi diversi, di difesa attiva o passiva. Già il mettersi in posa di fronte all’occhio meccanico è un atteggiamento di difesa, un espediente per presentare all’altro un’immagine più costruita, quindi più rassicurante, di sé. Così come è una difesa la smorfia grottesca con la quale ci poniamo in relazione con la superficie riflettente dello specchio. Forse in questo è la ragione del fascino che esercita il ritratto, la curiosità continuamente inappagata che esso suscita. Di qui anche l’aspetto inquietante che ogni ritratto sembra avere, inquietante come lo specchio.
L’allarme scatta a questo punto, quando ci riconosciamo nel ritratto, e nello specchio, ma nello stesso tempo avvertiamo che nell’immagine riflessa appare qualcosa che non conosciamo perfettamente. Da questo punto di vista, il ritratto può essere considerato unheimlich, perturbante, nel senso indicato da Freud, ossia come un qualcosa che è appunto l’antitesi di ciò che è heimlich, familiare, abituale, ma che trae la sua origine proprio dal fatto che è un qualcosa che ci è da lungo tempo familiare. Il Somigliante è in sostanza una maschera ed in quanto tale rinvia a qualcosa che sta al di là dell’apparenza, ad un segreto che la maschera in parte rivela ed in parte nasconde. La somiglianza acquista così il significato di simbolo, nel senso originario di symbolon, la tessera metà della quale era consegnata all’ospite, che poteva quindi essere in parte riconosciuto ed in parte nascondersi. Ma che cosa si nasconde dietro la maschera e dietro il ritratto?
E’ probabile che il somigliante, il doppio, il riflesso speculare, ed il ritratto, abbiano un risvolto profondo, ci portino a uno “stadio dello specchio” in cui tutti abbiamo vissuto la separazione dalla madre e appreso la differenza dopo la somiglianza e l’identità. L’attrazione singolare che il ritratto esercita sul soggetto che lo guarda è forse in relazione proprio al fatto che esso ci presenta un’immagine che ad un tempo appaga e delude il desiderio ; un desiderio che sospinge continuamente a cercare nuovi segni di una cosa lungo la catena delle sostituzioni metonimiche della (perduta) relazione primaria.
Giannetto Bravi sembra porre allo scoperto questo meccanismo. Ma prende una scorciatoia, lasciando al soggetto ritratto il compito di inserire nell’opera il proprio oggetto segreto e di collaborare, così, alla realizzazione dell’opera appunto come maschera e simbolo che in parte rivela ed in parte nasconde. Pierre Restany, Lea Vergine, Gillo Dorfles, Guido Ballo, Achille Bonito Oliva, Antonio De Guercio, e chi scrive, hanno tutti svelato all’autore un loro amore segreto, un dettaglio che ora sta dentro il ritratto con il compito ambizioso di svelarne l’altra faccia. Immagini, parole, cose alle quali ciascuno assegna un particolare valore, oggetti transizionali come la coperta di Linus. Ma il luogo del segreto è veramente raggiunto? O non si tratta, ancora, ed inevitabilmente, di una maschera e di un travestimento?
E infine non possiamo non chiederci quale sia il segreto di Bravi dal momento che egli ironicamente finge di non sapere che nella partita a due del ritratto è il pittore che tenta di afferrare la sua coperta.

 


Opere in mostra
Titolo: PIERRE RESTANY E LE SUE LETTERE A GIANNETTO BRAVI, MEMORIE SILENZIOSE
Materiali: Tela, 40 foto formato cartolina stesso soggetto, panno lenci, 20 lettere di Pierre ricevute e non lette a preservarne il segreto
Dimensioni: 130x130 cm 
Anno: 1977/78 
Titolo: ACHILLE BONITO OLIVA. AUTOCRITICO AUTOMOBILE 
Materiali: Tela, 140 foto formato cartolina stesso soggetto + libro in custodia plastica
Dimensioni: 160x160 cm 
Anno: 1979 
Titolo: ANTONIO DEL GUERCIO. MEMORIA DI COLORE 
Materiali: Tela, 139 foto formato cartolina stesso soggetto + una virata in verde
Dimensioni: 160x160 cm
Anno: 1979
Titolo: FILIBERTO MENNA E .......... 
Materiali: Tela, 140 foto formato cartolina due soggetti
Dimensioni: 160x160 cm
Anno: 1979 
Titolo: GILLO DORFLES, GUARDANDO SE STESSO 
Materiali: Tela, 87 foto formato cartolina stesso soggetto + una in fondo a destra diverso soggetto + scatolina in plastica con pinzacarte
Dimensioni: 130x130 cm
Anno: 1979 
GUIDO  GUIDO BALLO E IL SETTE MAGICO 
Materiali: Tela, 139 foto formato cartolina stesso soggetto, foto poesia, scatola in plastica con libro poesie, sette numero 7 in bronzo su quarta fila foto dall'alto
Dimensioni: 160x160 cm
Anno: 1979 
Titolo: LEA VERGINE. QUATTRO DONNE E UN SEGRETO SIGILLATO 
Materiali: Tela, 85 foto formato cartolina stesso + tre diversi soggetti + scatolina in plastica con segreto sigillato in lacca
Dimensioni: 130x130 cm
Anno: 1979 
Note: Immagine 85 foto Enzo Mari